L’anatomia del genocidio
Come e che cosa può definire un genocidio?
Da Gaza alla Repubblica democratica del Congo, dalla Siria fino al lontano sterminio armeno le accuse si moltiplicano. Politici, storici e sociologi tentano di intercettarne tutte le caratteristiche, l’anatomia del genocidio.
Risale al 1915 uno dei primi genocidi del XX secolo, quello della popolazione armena nell’Impero Ottomano. L’ultimo “a partire” da fine del 2023 stiamo assistendo all’ultimo in Palestina.
Ecco, proprio l’utilizzo del suddetto termine ha suscitato parecchie discussioni nell’ultimo periodo, in Italia come all’estero.
La convenzione delle Nazioni unite nel 1948 designa come genocidio qualsiasi atto «commesso con l’intenzione di distruggere, in toto, o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso».
Persino alcuni sociologi hanno tentato di farlo mediante l’interpolazione di determinate caratteristiche comuni, tanto da portare alla nascita di un vero e proprio campo disciplinare dedicato.
Razmig Keucheyan, professore di sociologia all’Università Paris Cité, ha cercato di dare una risposta:
Etno-nazionalismo
Il primo elemento è sicuramente un nazionalismo fondato su basi puramente etniche. Nel caso armeno, lo sterminio è legato alla fase di creazione di uno stato-nazione operata dai Giovani Turchi attraverso un processo di colonizzazione interna. Dopo un periodo di apertura verso le componenti non turche dell’impero, ha quindi inizio la “purificazione” dagli Assiri, dai Greci e dagli Ebrei. In Palestina possiamo parlare piuttosto di colonialismo d’insediamento, con cui gruppi israeliani, sull’onda sionista hanno occupato territori palestinesi uccidendo o cacciando la popolazione locale.
Memoria recente di fatti di lunga data
I genocidi sono violenze perpetuate nell’arco di lassi di tempo molto lunghi. Per i palestinesi si tratta di un processo in atto dal XIX sec, come definita da Rashid Khalidi una guerra centenaria. Allo stesso modo il genocidio armeno è stato preceduto dai massacri hamidiani degli ultimi decenni del XIX sec.
Linguaggio disumanizzante
In entrambi i casi il terreno della discriminazione è preparato dalle parole: maiali, cani per gli armeni e animali umani per i palestinesi attraverso le parole del ministro israeliano Galant. La negazione dell’essere umano precede la sua uccisione e la “legittima”.
Emergere di una coscienza nazionale
In ambedue le popolazioni il sentimento di affermazione della propria identità e la volontà di non soccombere è forte. Gli armeni reclamano diritti e sicurezza agli imperi russo e ottomano e poi chiedono l’indipendenza. La definizione di un’identità palestinese ha invece inizio già negli ambienti colti della Palestina ottomana XIX sec.
Comunità internazionale passiva
Il Reich tedesco sembra aver giocato un ruolo non indifferente nello sterminio armeno: alcuni ufficiali tedeschi sembra abbiano partecipato direttamente, altri avrebbero per lo meno potuto ostacolarlo. Nel caso Palestinese abbiamo visto non solo il completo silenzio dell’Europa dei primi mesi ma anche l’aiuto concreto ed attivo degli USA.
Abbattere la cultura per abbattere un popolo
Molti intellettuali e uomini politici importanti sono stati uccisi in entrambi i casi, come dimostra l’assassinio del poeta Refaat Alareer da parte dell’esercito israeliano il 6 dicembre 2023.
Taboo
Anche senza utilizzare il termine genocidio, difficile da pronunciare persino per gli Stati non direttamente coinvolti, le alte sfere politiche finiscono per utilizzarne dei sinonimi. Un esempio è la richiesta operata da Netanyahu verso i suoi consiglieri volta a “ridurre la popolazione di Gaza al livello più basso possibile” attraverso la geolocalizzazione con l’intelligenza artificiale.
Conclusioni
Perché questo tipo di analisi sono necessarie? Poiché per quanto il mondo sia complesso e i tempi cambino e i personaggi anche, guardare al passato ed avere capacità di astrazione, dunque la capacità di riconoscere le trame di un fenomeno storico – tolte le armi usate, le nazionalità coinvolte, i leader del momento – permette di riconoscerle nel futuro. Senza mai ricorrere a semplificazioni, conoscere delle definizioni può aiutare a crearne di nuove e a ordinare la realtà.
Come il poeta palestinese Najwan Darwish nota in un’intervista del The Guardian:
“credi di scrivere del passato, ma in realtà stai scrivendo del tuo futuro.”
Sofia Seghesio
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