Dal passato a una gloriosa rinascita
di Antonio Vollono
Immaginate di essere nati sull’East Coast Bay alla fine degli anni ’80; la breve vita che ebbe il punk puro, morto nel ’79, stava rinascendo tra quelle coste piene di giovani che imbracciavano uno strumento e, senza una tecnica troppo precisa, formavano una band.
Un periodo in cui per fare musica o la imparavi a orecchio ascoltando vecchi vinili o te la facevi da te senza le troppe tecnologie di oggi, cercando di dare il massimo e di entrare finalmente in quella cerchia di musicisti dove i problemi giovanili, le gioie e le delusioni erano all’ordine del giorno ma vissute diversamente dai giovani d’oggi che riescono a creare e distruggere dietro i social network.
Era il periodo in cui per dire qualcosa utilizzavi una canzone, una poesia e il tuo messaggio doveva avere un qualcosa di profondo per tutti; un insegnamento al mondo esterno proveniente dal tuo mondo interno fatto di esperienze e di vita vissuta.
La leggerezza e spensieratezza del genere ska cominciò a unirsi alla brutalità del genere hardcore punk; un genere violento, per disadattati rifiutati dalla società ma suonato da quest’ultimi per sentirsi uniti come una grande famiglia.
C’è un locale in particolare chiamato 924 Gilman Street che ha visto nascere un po’ la storia di quel che saranno il pop punk, il punk revival e lo ska punk.
Qui hanno preso vita gruppi come i Green Day, Rancid, Operation Ivy e altri che, purtroppo, sono morti con il crepuscolo degli anni ’80; altri, invece, sono arrivati sulla vetta del successo internazionale.
Here We Go Again è un brano degli Operation Ivy, divenuti poi Rancid con la fuoriuscita del cantante e del batterista, che può esprimere meglio il concetto di ska punk: brutalità, velocità, rime e assonanze, suoni grezzi e puri come se la semplicità avesse una valenza maggiore della tecnica: essere la musica sul palco in quel momento vale più che saperla suonare, tutto questo mischiato alla tradizione della musica giamaicana che, dagli anni ’60, stava spopolando nel vecchio continente fino al nuovo.
Il punk è morto e questo si sa; è morto coi Sex Pistols, coi Ramones, coi Clash, Nofx, Expolited, Los Saicos; ma è possibile far tornare quella vena brutale e grezza di un tempo ai giorni nostri? Molti sono diffidenti: basta guardare la vecchia guardia e possiamo notare dei simpatici vecchietti o uomini di mezz’età che scrivono canzoni più calme; il punk, allora, è uno stato d’animo solo adolescenziale? Solo quando hai voglia di distruggere il mondo nasce in te il punk? Non credo.
La dimostrazione è un gruppo ska punk nato da pochi anni in America chiamato The Interrupters.
Essi sono i successori dei Rancid, non a caso sono seguiti da Tim Armstrong, frontman di quest’ultima band e dalla sua casa discografica con la quale hanno prodotto un singolo insieme: Familiy.
Sonorità più pulite, più tecnica… ma la grinta è quella: testi rabbiosi, di lotta, di nostalgia e tutto ciò che ci attanaglia dai 16 anni in poi fino ai 20 e 30, cercando di toccare temi che possono riguardare un po’ tutti quanti noi.
Il punk non muore, si evolve e dopo il successo del pop punk lanciato dai Green Day nel 2000 con l’album Warning questo gruppo è quello che esprime al meglio il genere ska punk senza adattarsi al cambiamento della società e delle sonorità.
La musica mantiene giovani e l’animo non invecchia; un po’ come stanno facendo i Rancid: anche se hanno sonorità un po’ più calme, il loro animo è sempre fermo al 1987 quando erano gli Operation Ivy.