Lo chiamavano Jeeg Robot
Chi l’ha detto che “supereroe” ed “italiano” non possono stare nella stessa frase?
Cosa rende un piccolo delinquente di Roma un invincibile supereroe? Le acque del fiume Tevere. Sfido chiunque a non aver mai pensato qualcosa di simile, o ad asserire di non averla mai sentita pronunciare da un amico durante i bagordi di una sera.
Questa è la grande potenza del film Lo chiamavano Jeeg Robot: che tutti lo abbiamo pensato, sognato, immaginato e Gabriele Mainetti, classe 1976, ce lo ha portato sul grande schermo. Un film di supereroi italiano, mai ce lo saremmo aspettati, eppure il regista fa l’impossibile: coniuga la semplicità rustica del film d’autore italiano alla fantasmagoria degli effetti speciali, le americanate, per intenderci.
Malavita capitolina e camorra si fondono ai manga giapponesi e ai supereroi hollywoodiani problematici, sullo sfondo c’è Tor Bella Monaca. Apre una ripresa aerea della capitale che passa poi ad un inseguimento a piedi di Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) piccolissimo criminale di borgata che per sfuggire alle forze dell’ordine si getta nel Tevere cadendo all’interno di un barile ricolmo di liquami radioattivi.
Galeotti furono i liquami, insomma, il che non è neanche così sorprendente, né particolarmente originale ma quello che stupisce non è il “come” vengono acquisiti ma il “come” vengono utilizzati i superpoteri acquisiti.
Il protagonista è un outsider, un outsider sfigato però, è pigro, un po’ rintronato e lascivo, è un ladruncolo, che tira avanti a porno, yogurt e piccoli furtarelli; viene da sé che la superforza e la supervelocità saranno utilizzati per fini non proprio nobili. Il film prende la piega di una scorrettezza e di una follia totali.
Questa la linea guida di un lavoro in cui niente è prevedibile: neppure la storia d’amore sullo sfondo è scontata, non è catalogabile né nelle classiche love story nei film di supereroi né tantomeno nell’amore raccontato nei film all’italiana. E allora com’è che la relazione tra Claudio Santamaria e Ilena Pastorelli (Alessia) comincia ad essere pregnante e sempre sorprendente?
Lei è bellissima e completamente pazza, è la figlia di un tipo losco amico del protagonista, che gli aveva procurato l’ultimo lavoro, durante il quale l’uomo perde la vita. È per questo che Enzo Ceccotti, dotato, malgrado tutto, di una profonda bontà, si sente in dovere di sdebitarsi e, dunque, quando Luca Marinelli, nei panni del Joker di turno, minaccia la ragazza per ricevere i soldi del lavoro che aveva commissionato al padre, il protagonista dopo i primi tentennamenti interviene, dando il via alle ostilità tra lui e lo “Zingaro”.
Avido, disonesto, esaltato, è il piccolo boss eccentrico contro cui Enzo si troverà a lottare, sebbene non ne avesse per niente intenzione. La sua morale e la follia di Alessia che lo crede Jeeg Robot, personaggio di cui è innamorata ed ossessionata tanto da crederlo reale, creano la sua personalità di eroe.
Egli non è propriamente un supereroe ma si crea come tale, aderendo all’idea che la ragazza si è fatta di lui. È questa sorta di “effetto pigmalione” che ci sorprende e al contempo ci rassicura, che rende il personaggio di Enzo Ceccotti così umano, troppo umano.
Ad un tratto la narrazione subisce un forte colpo, che viene comunque bilanciato da una fotografia e da un sonoro molto interessanti, che non permettono allo spettatore di rendersi conto del down.
È il trionfo del cinema puro, fresco, semplice, eppure attento, controllato e preciso ma con una grande intensità narrativa e begli effetti speciali, sebbene il budget limitatissimo per questa tipologia di film che presuppongono tanta creatività in termini di inquadrature e montaggio; senza perdere quella genuinità tipica dei grandi capolavori italiani, prende a piene mani dai film d’oltreoceano per dare efficacia al lavoro. E noi per questo lo ringraziamo di averci regalato il nostro supereroe tutto sporco, tutto italiano, che abbiamo chiamato Jeeg Robot.
di Luisa Ruggiero
Disegno di Simone Paesano