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Fama e privacy: le persone famose sono persone ordinarie

È da sempre che le persone famose, più nello specifico le donne, sono vittime di stalking e comportamenti abusanti, fastidiosi e non consensuali. 

Nel tempo questi comportamenti sono stati sempre più normalizzati, soprattutto dai gruppi di “superfan”, che in realtà di super hanno solo l’aggressività ed il senso di ossessione.


Basta pensare al superfan che nel 2016 ha assassinato la ventiduenne cantante e youtuber Christina Grimmie ad un meet&great post-concerto; le autorità hanno affermato che lui aveva una “infatuazione irrealistica e tossica” verso l’artista, a cui ha tolto la vita a suon di colpi di pistola mentre i due stavano scambiando quello doveva essere un breve abbraccio tra fan e artista.

Altre celebrity, come Britney Spears, Amy Schumer, Mitski, Emilia Clarke, Justin Bieber, Bad Bunny, Taylor Swift, Anne Hathaway e Doja Cat hanno, in diverse occasioni, parlato esplicitamente del disagio provato a causa dell’atteggiamento aggressivo ed eccessivamente invadente di alcuni “fan”, ed hanno chiesto di essere rispettati in pubblico e trattati con educazione.
Assurdo che l’abbiano dovuto chiedere, dato che si tratta di decenza e buonsenso. 

È normale ed istintivo sentirci emozionati quando incontriamo artisti che ci piacciono, che sia per caso o ad un evento organizzato.
È normale essere contenti, trepidanti, soprattutto se seguiamo l’artista in questione da tanto tempo o se la loro arte ha per noi un particolare significato. 

Ma queste emozioni devono trovare un canale sano per uscire fuori, altrimenti si sfocia nella maleducazione più totale. 

È importante ricordare che l’artista che abbiamo di fronte è una persona, un essere umano che ha il diritto ad una propria vita privata.
È lecito avvicinarsi se in quel momento l’artista non è impegnato in qualche attività (in quel caso, ovviamente, è maleducazione interrompere, e questo vale anche per chi non è famoso), parlare con educazione ed eventualmente chiedere una foto o un autografo. Gli artisti hanno tutto il diritto di dirvi di no, però, per qualsiasi motivo. Il no va rispettato, e troppo spesso purtroppo non è così.
Non possono assolutamente essere accettati e normalizzati atteggiamenti eccessivamente euforici ed ossessivi che nell’artista non provocano altro che disagio, frustrazione, rabbia e anche paura.

La società ha normalizzato questi comportamenti tossici a tal punto che, quando un artista li denuncia e chiede semplicemente di essere trattato con rispetto e non come un’attrazione turistica o un mero prodotto, viene giudicato come ingrato e immeritevole del suo successo.

L’ultima artista ad essersi esposta online denunciando comportamenti di questo genere è stata Kayleigh Rose Amstutz, conosciuta con lo pseudonimo di Chappell Roan. 

Su Instagram, prima attraverso le Stories e poi in un post, l’artista ha denunciato degli episodi che l’hanno spaventata e messa a disagio: persone che le urlano dietro per strada dalle loro macchine, altre che si avvicinano a lei per abbracciarla senza il suo consenso, altre ancora che la seguono per strada per stalkerarla, condividendo la sua posizione globalmente in ogni momento, rendendola vulnerabile anche a pericoli maggiori. Chappell Roan ha anche chiesto di non essere chiamata con il suo nome di battesimo dai fan: Kayleigh è il nome con cui si rivolgono a lei amici e famiglia, qualcosa di intimo, di privato.
Ha più volte affermato che Chappell Roan è una sorta di alter-ego, un personaggio drag più aperto e sicuro, specialmente in relazione all’identità sessuale. Ed è così che vuole essere conosciuta dai fan e dalle masse, come Chappell, e Kayleigh è una persona che esce fuori solo con amici stretti e famiglia e mai con gli estranei. È una decisione che va rispettata, così come deve essere accolta la sua richiesta (ancora una volta, assurdo che lei l’abbia dovuto chiedere) di non essere trattata in modo inquietante e non consensuale dagli estranei. 

Perché sì, gli artisti che seguiamo per noi sono degli estranei, e noi siamo degli estranei per loro.
La gratitudine e l’affetto che gli artisti provano per i propri fan troppo spesso vengono interpretati come un invito a far di loro ciò che si vuole, come se fossero oggetti. 

Noi acquistiamo e godiamo dell’arte che gli artisti producono, che si tratti di registi, attori, cantanti, scrittori, pittori, ecc. 

Produrre arte è un lavoro, rientra nel business dell’intrattenimento, e la transazione dovrebbe essere solo questa: io pago l’artista ed in cambio posso usufruire della sua arte.
Nell’acquistare l’arte non si sta acquistando anche gli artisti che la producono, le loro vite, le loro relazioni, le loro famiglie e la loro libertà. 

Sfortunatamente è ancora molto diffusa l’idea che ricevere tali trattamenti faccia parte del “pacchetto” della fama. Che dovevi aspettartelo, che devi accettarlo e passarci sopra perché alla fine significa che ti seguono tantissime persone ed era quello che volevi, no? Che devi tenere la testa bassa e soddisfare ogni tipo di richiesta, non importa quanto possa essere rischiosa o dolorosa per te. Che devi dimenticarti della tua umanità, della tua sicurezza, della tua quotidianità. Che devi sacrificare la tua libertà e devi anche farlo con leggerezza, senza mai lamentartene, altrimenti sei ingratə, non meriti nulla, non apprezzi niente.

Ma l’arte non è violenza.

L’arte è amore, dolore, solitudine, passione, tristezza, solidarietà, felicità, fratellanza. È inammissibile che dall’arte nasca la violenza, l’odio, l’aggressività, la bruttezza.

Gli artisti condividono con noi la loro arte per fare ciò che da secoli l’arte ha sempre fatto: alleviare la nostra sofferenza, curare la nostra solitudine, farci sentire compresi e parte di qualcosa di più grande.

Che la gentilezza possa raggiungere il cuore di tuttə. 

Supportiamo gli artisti. Esprimiamo la nostra gratitudine in modo sano, e non facciamo mai agli altri ciò che non vorremmo mai ricevere noi.

Marcella Cacciapuoti

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Marcella Cacciapuoti

Classe 2001. Laureata in lettere moderne e studentessa di filologia moderna. Scrivo, leggo, e sogno un dottorato in linguistica. Mi chiamo Marcella e sono in continua evoluzione. Innamorata delle parole e affamata di pace. Racconto le storie degli altri per trovare la mia.
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