Cecità: il romanzo che insegna a “osservare”
Se puoi vedere, guarda.
Se puoi guardare, osserva.
Libro dei consigli
Un automobilista fermo a un semaforo all’improvviso diventa cieco.
È questo l’evento che anticipa 300 pagine di costante afflizione, come le definisce l’autore stesso: Josè Saramago, noto scrittore portoghese.
Dopo il primo caso, infatti, questo malessere pervade inesorabilmente le strade di una città senza nome fino a tramutarsi in una vera e propria epidemia di cecità. Non c’è una motivazione che possa spiegare il fenomeno: da un momento all’altro l’interruttore si spegne e si rimane avvolti da una luce abbagliante, una nebbia color latte che sembra inghiottire tutti i colori del mondo.
In un immaginario in cui siamo abituati a pensare alla cecità come un salto nel buio o a uno stato di oscurità, Saramago ci racconta di una cecità bianca.
Per costoro la cecità non significava vivere banalmente circondati da tenebre, ma all’interno di uno splendore luminoso.
È come se attraverso un bagliore profondo l’autore voglia svelare qualcosa più che nasconderla, lasciar spazio a una maggiore chiarezza della realtà: la perdita della vista deve consentire ai ciechi di poter guardare davvero in faccia alla realtà.
In seguito a una vasta diffusione del morbo, il governo decide che l’unico modo per porvi un freno è l’isolamento di tutti i ciechi all’interno di un unico edificio: un ex manicomio che diviene teatro degli aspetti più brutali e oscuri dell’essere umano. Si tratta di scene di un crescente degrado sociale a noi rese note attraverso gli occhi dell’unico individuo ancora capace di vedere: la moglie del medico.
Sì, perché i personaggi non hanno nome o identità, sono: “il primo cieco”, “il dottore”, “la ragazza dagli occhiali scuri”, “il vecchio con la benda nera”, “il bambino strabico”, un anonimato che sembra comunicarci che i personaggi non sono altro che attori, maschere che rappresentano l’umanità stessa.
Su questo riflette proprio la moglie del medico:
Siamo talmente lontani dal mondo che fra poco cominceremo a non saper più chi siamo, neanche abbiamo pensato a dirci come ci chiamiamo, e a che scopo, a cosa ci sarebbero serviti i nomi, nessun cane ne riconosce un altro, o si fa riconoscere, dal nome che gli hanno imposto.
Quei ciechi, abbandonati a sé stessi sono come un’altra razza di cani, in preda a quell’istinto animale che persiste e si nasconde nell’animo umano.
La giustizia, il senso civico, la capacità di vivere in comunità, lo spirito di condivisione restano solo un ricordo poiché la fame, l’angoscia, le scarse condizioni igieniche e la mancanza di risorse scatenano una regressione dell’uomo allo stato primitivo che inevitabilmente porta alla sopraffazione del più forte sul debole.
Lo spazio creato da Saramago, infatti, sembra dare luogo a un esperimento sociale che lascia emergere sentimenti di impotenza, sofferenza, debolezza, analizzando con verità cruda e impietosa i meccanismi della natura umana. Privi di qualsiasi forma di controllo e di legge, i ciechi lasciano che la violenza prenda il sopravvento sulla ragione e sulla compassione al fine di garantire la propria sopravvivenza.
Tuttavia, pur senza rendersene conto, morti, quei ciechi, lo erano già: spogliati di ogni parvenza di dignità.
Così la cecità, da condizione fisica si trasforma in un decadimento morale portando alla distruzione dei legami sociali.
Una scrittura incalzante e priva di segni grafici immerge completamente in un’atmosfera opprimente, in un pessimismo all’apparenza inconsolabile ma che a poco a poco fa spazio all’unico personaggio positivo del racconto: la già citata moglie del medico. Non è solo testimone dei fatti, ma è anche colei che crea spiragli di luce nel buio, invitando alla speranza anche nelle condizioni più avverse. Reagisce ai furti, alla violenza, agli stupri, facendosi portatrice di grandi atti di coraggio e rivelando il valore dell’umanità che dovrebbe prevalere in ciascuno di noi.
Saramago, restando fedele all’idea di letteratura come strumento di denuncia e stimolo alla riflessione, ci costringe a confrontarci con l’orrore che si annida nelle dinamiche sociali e, troppo spesso, nell’animo umano.
La cecità di cui parla è allegoria del mondo, metafora della sovente incapacità di saper guardare oltre le apparenze.
La moglie del medico, testimone dell’inferno in terra, è colei che ha “occhi per vedere” e che ci ricorda che la cecità che colpisce l’animo è più pericolosa di quella che grava sugli occhi e ci insegna a guardare e a navigare oltre quel mare di latte che soffoca la lucidità dei personaggi, ci insegna a saper andare oltre il “vedere”, ci insegna a “osservare”: la nostra interiorità e quella di chi ci circonda, attraverso la forza dell’empatia.
José Saramago ci consegna la necessità di recuperare l’essenza umana che è andata perduta, attraverso un’opera che lo ha reso Premio Nobel per la Letteratura nel 1998. Sono passati anni, ma come i grandi classici Cecità continua a comunicare ancora, soprattutto in un panorama di violenza che, purtroppo, il mondo di oggi continua a mostrarci incessantemente.
Maddalena D’Angelo
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