Géricault e la rappresentazione del naufragio
Théodore Géricault è stato il più importante esponente del Romanticismo francese.
Proveniente da un’agiata famiglia borghese, si formò in un contesto accademico. Tuttavia, abbandonò presto i temi e gli ideali neoclassici.
Spinto da un temperamento irrequieto e da una sensibilità acuta, decise di cercare i suoi soggetti nell’ambito della storia contemporanea.
Nel 1818, e per tutto l’anno successivo, Géricault lavorò al suo più noto capolavoro, La zattera della Medusa, un enorme quadro di 35 metri quadrati. Mai prima di allora una tela di tali dimensioni era stata destinata a soggetti privi di rilievo storico. Esposta al Salon del 1819, dove fu aspramente contestata, l’opera assunse un valore emblematico per i pittori romantici, così come era successo con Il giuramento degli Orazi di David per gli artisti neoclassici.
Il soggetto fu ispirato da un tragico episodio di cronaca dell’epoca. Nel 1816, la nave Medusa naufragò al largo delle coste africane. Le scialuppe, che avevano a bordo gli ufficiali, cercarono di rimorchiare per un tratto 151 superstiti, ammassati su una zattera di fortuna, ma quando le corde si ruppero (o furono tagliate), la zattera andò alla deriva. I naufraghi, terrorizzati e affamati, giunsero a nutrirsi dei corpi dei compagni morti di stenti. Undici giorni dopo, la nave di soccorso Argo passò in prossimità della zattera ma senza scorgerla; al tredicesimo giorno, invece, la incrociò, raccogliendo solo quindici superstiti. Géricault, che voleva esprimere con sufficiente immediatezza tutta l’angoscia e l’orrore che avevano accompagnato i naufraghi, cercò di raccogliere ogni informazione possibile sulla vicenda e riuscì anche a parlare con tre dei sopravvissuti. Scelse, così, di rappresentare il mancato salvataggio dell’undicesimo giorno.
La composizione, segnata dalla drammaticità delle figure, sviluppa un progressivo “moto emotivo” ascensionale, che va dallo sconforto alla speranza, ben esemplificato dall’onda umana, creata dai naufraghi, che si erge verso destra. Un uomo anziano, seduto sconsolato fra i morti, regge sulle ginocchia le spoglie di un ragazzino nudo.
Un cadavere, nella parte inferiore del dipinto, sta per essere trasportato via dalla corrente. Accanto al vecchio, un giovane volge debolmente la testa verso la parte anteriore della zattera. Un gruppo di naufraghi è ridestato dalle grida dei compagni che, all’ombra della vela, indicano la nave Argo all’orizzonte. I più attivi, fra i quali un marinaio di colore, agitano le proprie camicie per attirare l’attenzione dei soccorritori.
La multiforme espressione degli stati d’animo è controllata ed enfatizzata, a un tempo, da una composizione complessa e attentamente studiata. La scena è impostata su una serie di assi visivi inclinati in direzioni opposte: due coincidono con i bordi della zattera, uno con il palo, altri due con le funi. Tutti questi sono percepiti come gli spigoli di una piramide obliqua che ha la base coincidente con la zattera stessa e il vertice con la parte terminale del palo. Altri assi inclinati coincidono, invece, con gli spigoli della ideale piramide umana, anch’essa obliqua, creata dai corpi ammassati dei marinai e culminante con il marinaio di colore che agita la sua camicia. Tali assi inclinati suggerisco all’osservatore un senso di instabilità, di precarietà.
Nel dipinto si contrappongono spinte contrastanti: una, quella dei naufraghi che si agitano per fare segnalazioni, ha la direzione parallela alla diagonale ascendente del quadro ed è rivolta decisamente verso il largo; le altre spinte hanno direzione parallela alla diagonale discendente: la prima, evidenziata dal vento che gonfia la vela, spinge la zattera verso sinistra, la seconda, indicata dalle onde del mare, verso destra, in basso.
La zattera viene insomma sballottata da una parte e dall’altra, in balia di forze opposte che comunque non la fanno avvicinare alla meta. Infatti, se la nave Argo è quasi un miraggio, una macchia appena visibile all’orizzonte, la zattera è vicinissima allo spettatore, al punto che il lato inferiore della tela taglia uno degli angoli del relitto e la parte superiore di un cadavere.
Una straordinaria, quanto inconsapevole, anticipazione del cosiddetto taglio fotografico, che tanta fortuna avrebbe avuto a partire dalla stagione impressionista. Con tali accorgimenti, l’artista intendeva ridurre il più possibile la distanza psicologica tra osservatore e dipinto e trasformare la fredda contemplazione da parte del pubblico in partecipazione sofferta.
La valenza psicologica del colore
Il dipinto presenta colori molto chiari, utilizzati per rendere il pallore dei corpi dei naufraghi, che contrastano con i colori fangosi e scuri, tendenti al grigio e al marrone, adottati per i vestiti di alcuni marinai e per il cielo. Qui, l’autore usò molto il bitume, una sostanza catramosa che, nel tempo, è diventata una melassa nera nascondendo, in modo irreversibile, alcuni dettagli dell’opera. Il mare ha un colore verde intenso, invece del tradizionale blu scuro.
Queste tonalità tetre e fortemente espressive creano un clima, anche psicologico, oscuro e hanno il compito di spingere l’osservatore a condividere l’angoscia e la sofferenza dei protagonisti. Anche l’illuminazione è cupa e richiama le atmosfere pittoriche di Caravaggio. Solo la nave Argo, che trarrà in salvo i superstiti, è illuminata da una luce più chiara che comunica un senso di speranza.
Lucia Russo
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