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La vita nell’harem: prigionia o potere?

Per gli occidentali il Medio Oriente appare come un luogo misterioso e, talvolta, retrogrado, con le sue leggi quasi incomprensibili. Alcune di queste riguardano la condizione femminile, subordinata ad un uomo, che sia il padre o il marito.

Questo scenario riporta alla mente di noi occidentali l’harem, visto da molti come luogo in cui odalische intrattengono sessualmente i maschi. Tale idea ci viene data anche dalle opere di alcuni pittori europei come Delacroix.

Ma è davvero così? Scopriamolo insieme.

Nel nostro immaginario quasi tarato, l’harem rappresenta un luogo di prostituzione, simile ad un bordello, in realtà si tratta di una questione molto più ampia.

Il termine significa “luogo riservato” e in arabo si oppone al concetto di halal, ovvero ciò che è consentito dalla legge. L’harem risale al califfato omayyade, uno dei quattro principali dopo la morte del profeta Maometto, che fu al potere dal 661 al 750. Il luogo ospitava le schiave dei territori conquistati dalla dinastia e le donne che ne facevano parte intrattenevano il sovrano in vari modi.

All’interno vivevano donne e bambini più piccoli, agli uomini era vietato l’ingresso ed era un ampio spazio nelle sale del palazzo. Nell’harem tutte, in particolare moglie e figlie del sultano, vivevano insieme facendo varie attività.

Anche all’interno di questo luogo c’era una gerarchia, infatti, la moglie principale godeva di maggiore rispetto, mentre le odalische erano schiave acquistate dal sovrano stesso che potevano comunque essere sposate con lui. La donna principale aveva numerosi compiti, quali affiancare il sultano nelle scelte a palazzo e la cura dei figli.

Nell’harem ci si dedicava alla musica, danza, poesia, gestione del luogo e bambini.

Si trattava insomma di uno spazio dedicato al genere femminile, ma ben presto questo fece nascere l’ideale dell’isolamento, ovvero quella pratica in cui gli uomini tendevano a nascondere le donne e a farle controllare dagli eunuchi, individui castrati che gestivano il luogo, avendo molta influenza sul sultano e i sudditi.

In realtà le donne, nell’impero antico arabo, non erano totalmente isolate.

Potevano partecipare alle riunioni a palazzo e sostenere il sultano nelle decisioni economiche e finanziarie. Addirittura, secondo alcune fonti del XIV secolo, le donne potevano visitare gli eventi pubblici e stare accanto ad altre persone.

Nonostante l’idea di prigionia, nell’harem si godeva di molta considerazione e tutti avevano gran rispetto per loro, soprattutto per la moglie principale e la madre del sultano.

Era consentito uscire, in rare occasioni, e sempre controllate da eunuchi o donne più anziane, soprattutto per feste e passeggiate, passatempo preferito pur di andare fuori da palazzo.

Impossibile da credere per gli occidentali, ma proprio dall’harem partì il cosiddetto “sultanato delle donne”, un periodo lungo 130 anni in cui il genere femminile iniziò ad avere grande controllo sull’impero, sia per la parte politica che militare.

Insomma, l’harem può sembrarci un luogo molto simile ad una prigione, dove le donne sono costrette a vivere tutte insieme e lontano dalla vita e quotidianità. In realtà il ruolo femminile era importante nei palazzi degli antichi arabi, godendo di considerazione domestica e finanziaria.

Martina Maiorano

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Martina Maiorano

Ciao! Sono Martina Maiorano, classe 1996. Fin da piccola ho avuto due grandi passioni: i libri e il beauty. Frequento Lettere Moderne all’Universitá Federico II e da poco sono entrata nel team de La Testata, pronta ad accettare nuove sfide!
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