Clodia: tra idillio e degrado
di Lisa Scartozzi
Appartenente ad una delle più nobili e antiche famiglie romane, Clodia era bella, brillante e colta. Al centro di ogni cronaca mondana del tempo, le venivano esaltati vizi e virtù. Era passionale e ambiziosa: non indugiò mai davanti alle lussuriose occasioni che la vita le presentava. La disinvoltura che la caratterizzava fu il giusto mezzo per muoversi tra i potenti dell’antica Roma che di lei apprezzarono (o denigrarono) la sua totale indipendenza.
Accusata da Cicerone nell’orazione Pro Caelio di godere di una vita immorale, venne cantata anche dal malinconico e disperato Gaio Valerio Catullo, principale esponente di una nuova corrente letteraria: i poetae novi.
Nato negli ambienti intellettuali romani, questo gruppo di poeti contrapponeva alla scrittura al servizio della politica, un nuovo modello: quello della scrittura al servizio dell’uomo. L’umanità era finalmente oggetto di una poetica totalmente libera e personale, in grado di liberare da gioie e dolori.
Catullo dedicò alcune delle più belle poesie della storia della letteratura alla colta Clodia, meglio conosciuta con il nome di Lesbia (in riferimento a Saffo, dell’isola di Lesbo). Ma chi fu davvero?
Dobbiamo ringraziare lui se, leggendo anche solo pochi versi, possiamo sapere di più su questo personaggio. Infatti, è proprio grazie a quello che definiva “labor lime” che riuscì ad ottenere dei Carme così semplici, raffinati e diretti. Nella brevità c’è la perfezione.
Sfogliando le pagine del Liber catulliano possiamo osservare il rapporto tra l’autore e Clodia e quali furono le sue passioni, i suoi pensieri e le sue sofferenze.
“Vivamus, mea Lesbia, atque amemus”. I versi del Carme 5 pullulano di passione, di baci e di amore tra i due amanti. L’invito alla vita e all’amore sono la celebrazione stessa dell’esistenza e una risposta alla fugacità del tempo: non ce n’è da perdere quando si deve amare.
“Nunc in quadriviis et angiportis”. Carme 58: Clodia è descritta nella maniera più cruda e spietata, pur rimanendo nella raffinatezza del lavoro di lima tipico dell’autore. Lei non è più in un salotto romano, catturata da un discorso all’altezza della sua potenzialità, ma è in un vicolo di Roma, a “battere la grande gioventù di Remo”.
Tra le righe si sentono la delusione e la rabbia di Catullo per una donna dedita a tradimenti. L’idealizzazione si scontra con la realtà: è Clodia a non avere nulla di speciale e unico, o è Catullo a non essere abbastanza per lei?
“Odi et amo”. È uno dei distici elegiaci più conosciuti nel mondo, eppure non tutti sanno davvero cosa significhino queste parole. Già da subito si può intuire che il Carme 85 si regge su una contrapposizione: quella tra odio e amore. Questi due versi, studiati e limati, sono lo specchio dell’animo del poeta oramai vittima di questo amore totalizzante e struggente. A scatenare questo scontro di opposti è ancora Clodia, che l’autore sente sempre più lontana. Attraverso il termine “excrucior” Catullo esprime la sua condizione di condannato alla sofferenza.
Ciò che di lei si disse furono parole di fuoco e pettegolezzi sparsi per le taverne del Foro e tra la Roma “bene” dei salotti intellettuali. Fu certamente una donna desiderata dentro e fuori dal letto dei grandi uomini romani, per la cultura e la passione con cui conduceva gli atteggiamenti adulterini che ne fecero una figura enigmatica e complessa. Il personaggio e i pensieri di Clodia sono ancora indefiniti; di lei non resta altro che il ritratto opaco di una donna indubbiamente versatile.