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Scrivere l’esistenza. Che fine ha fatto Sartre?

Immaginazione, emozioni, guerra, esistenzialismo, politica, libertà e relazioni.

Ma oggi, cosa ci resta di Sartre?

Il Novecento è il secolo delle guerre, il cosiddetto “secolo breve”, racchiuso tra il 1914 (lo scoppio della Prima Guerra Mondiale) e il 1991, anno di caduta dell’URSS. Un periodo che ha cambiato per sempre la storia dell’uomo, costellato da grandi scoperte scientifiche, infiniti drammi e nuove forme di pensiero.

È un secolo di grande smarrimento, tanto che la fiducia riguardo ai sistemi razionali che avevano dominato l’Europa dall’Illuminismo crollano: non si crede più alle certezze dimostrabili, alla bontà della scienza e della matematica astratta. 

Nasce in questo terreno, tanto fertile quanto devastato, Sartre e una filosofia capace di superare il metodo logico-dialettico e di accettare l’assurdo, l’impossibile, i paradossi, l’inspiegabilità della persona e del mondo, l’imprevedibilità e l’irripetibilità della vita.

PERCHÉ SARTRE

Jean-​Paul Sartre è un personaggio eclettico che nella sua vita non ha solo “pensato la cultura”, ma ha prodotto un pensiero di assoluto valore politico, sfociato nella creazione di un vero e proprio partito, il Rassemblement Démocratique Révolutionnaire.

È uno dei più importanti esponenti dell’esistenzialismo ateo, un pensiero che ha segnato per sempre non solo la filosofia ma anche l’arte, la psicologia, la letteratura, la politica, il teatro e la cultura.

Sartre nasce a Parigi agli inizi del secolo scorso, studia filosofia e ama Simone de Beauvoir per tutta la vita. Vive la guerra, vive l’Europa del secolo breve. Inizia a costruire una psicologia fenomenologica contrapposta alla filosofia naturalistica francese, caratterizzata dall’indiscusso primato della conoscenza e della ragione.

Il punto di partenza di Sartre è la rottura con la fenomenologia di Husserl, ritenendo che il rapporto tra coscienza e il mondo non sia solo di tipo conoscitivo: da questa riflessione inizia ad approfondire l’immaginazioneL’immaginazione e l’immaginario») e le emozioniAbbozzo di una teoria delle emozioni»). Immaginazione ed emozioni per lui non sono il primato della ragione (ma questo lo avevano capito bene i surrealisti), sono altro. Grazie all’influenza di Heidegger, Sartre elabora il suo essere-nel-mondo, tipicamente umano.

L’IMMAGINARIO E L’IMMAGINAZIONE

Ma non si ferma qui, attinge anche alla psicologia della Gestalt: ogni esperienza psichica è forma, dotata di una struttura propria, e non è la semplice somma delle parti che la compongono.

Dunque l’immaginazione non è la fotocopia di qualcosa di materiale ma che non c’è più, è un’attività creativa, libera, diversa dalla mera percezione. Immaginare non serve a conoscere, ma serve a de-realizzare, a de-costruire il reale, a tenerlo lontano o addirittura a negarlo, in modo da edificare un nuovo oggetto.

All’immaginazione non serve la conoscenza, anzi: se l’uomo dà senso al mondo, il mondo di per sé non ha nessun senso.

«[…] L’atto d’immaginazione è un atto magico. È un incantesimo destinato a far apparire l’oggetto pensato, la cosa desiderata in modo che se ne possa prendere possesso. In questo atto c’è sempre qualcosa d’imperioso e d’infantile, un rifiuto di tenere conto della distanza, delle difficoltà

«L’immaginario. Psicologia fenomenologica dell’immaginazione»

Sartre individua tre tipi di coscienza: la percezione (di tipo ingannevole, che veicola un significato certo), la concezione (il sapere) e l’immaginazione. Dall’immaginazione nasce la coscienza-prigioniera che non è nel mondo ma è nel sogno: da qui il paradosso «vedo realmente qualcosa, ma quello che vedo è nulla». Immaginare rende l’uomo libero e capace di superare il reale.

IL SENSO DELLA GUERRA

«L’essere e il nulla» stravolge la visione della libertà umana. Noi siamo come Medusa – la gorgone anguicrinita della mitologia greca – pietrifichiamo la realtà col nostro sguardo e con i significati che inevitabilmente attribuiamo alle cose. Ma ognuno attribuisce significati diversi, creando conflitti. Ed allora nasce la guerra.

La guerra non si limita all’uomo, ma si propaga a macchia d’olio alle religioni e alle ideologie. Non è proprio questa la massima espressione della guerra di significati?

Pensiamo al Bataclan: per un parigino è un locale di svago notturno, per un terrorista islamico un campo di battaglia dove mostrare la potenza dell’Islam. Dal 2015 è il luogo dove sono morte 90 persone.

È proprio il conflitto tra i significati che crea un mondo di guerre, lotte, tensioni.

L’inferno sono gli altri. L’incessante guerra tra noi e gli altri per far prevalere il proprio punto di vista rappresenta l’inferno delle libertà che si contrappongono tra loro («A porte chiuse»). Ogni persona con la sua verità cerca di annullare il reale, imponendo il proprio significato alle relazioni, alla vita, alle cose.

«LA NAUSEA»

Antoine Roquetin, il protagonista di questa narrazione, ci spiega la condizione umana provando nausea. Nausea dovuta alla vita, all’esistenza e all’impossibilità di trovare il significato autentico. Tutto è senza senso, tutto è un costante movimento di significati individuali e arbitrari. Non c’è certezza, ma solo nausea.

Roquetin prova orrore difronte l’esistenza, un senso di solitudine e angoscia. Vive in società ma è condannato a prendere scelte e decisioni da solo, nella consapevolezza che la libertà è connessa al significato. Ma Roquetin è forte, e sceglie un modo di dar ordine al proprio caos: la creazione artistica.

L’ESISTENZIALISMO: L’ESSERE E IL NULLA

L’esistenzialismo per Sartre è una responsabilità e un progetto sociale di coerenza atea. Il superamento di Hegel, Husserl ed Heidegger è sistematizzato ne «L’essere e il Nulla» (1943).

Qui l’essere è del fenomeno(essere del fenomeno) e nella coscienza (essere della coscienza). Il metodo fenomenologico consente un’analisi dall’essere del fenomeno alla coscienza che, nel pensiero preriflessivo, diventa una coscienza di sé in cui l’essere è la condizione-madre di ogni possibilità.

Dunque la coscienza è sempre coscienza di essere, causa del proprio modo di essere, ma anche coscienza di non essere ciò di cui è coscienza.

Ne derivano due tipi di essere: l’essere-in-sé e l’essere-per-sé.

L’essere-in-sé è l’essere dei fenomeni statici, senza tempo, che non può essere altro che ciò che è; mentre l’essere-per-sé rappresenta la coscienza dinamica e situata nel tempo, che si crea ma non coincide mai con sé stessa. L’essere-per-sé nega l’essere-in-sé e, per questo motivo, attiva una riflessione ontologica sul nulla.

Infatti l’essere-per-sé è la negazione che trae nutrimento dalla condizione di libertà – l’uomo per poter collocare il nulla deve essere libero. Ogni risposta che diamo alle nostre domande è necessariamente una negazione: nulla è qualcosa di tipicamente umano.

L’atto che origina la libertà individuale è la scelta, non un meccanismo riflessivo ma un’intenzione: la ragione è, di fatto, una delle infinite scelte possibili. La stessa libertà crea angoscia di fronte alle possibilità indeterminate: siamo condannati ad esistere, «non siamo liberi di cessare di essere liberi». 

Su questo palcoscenico trova spazio anche una riflessione sul solipsismo, dato che l’essere-per-sé comporta un mondo in cui sono presenti altre coscienze (ossia altre persone) e la relazione con gli altri comporta la creazione di un essere-per-altri. Questo si rivela grazie alla lettura fenomenologica dello sguardo, della vergogna, dell’odio e del linguaggio (fenomeni in cui Sartre riprende la riflessione di Hegel sulla dialettica servo-padrone). L’esistenza degli altri definisce lo scenario in cui si può realizzare l’autenticità tramite l’assunzione della propria libertà e il riconoscimento dell’altro.

Proprio attraverso lo sguardo, l’altro appare prima come una cosa, poi come una cosa in rapporto con le altre cose e, solo infine, come l’altro che mi guarda, che conosce me meglio di quanto io possa conoscermi – dato che io non posso oggettivarmi.

Con lo sguardo nascono le emozioni relazionali: timore, vergogna, pudore, orgoglio.

Le polarità del rapporto con l’altro sono odio e amore, entrambe fondate sul rapporto sessuale, fondamentale nell’intersoggettività. Sia l’odio (il tentativo di annullare l’altro nella sua alterità, riducendolo a strumento senza reciprocità) sia l’amore (possedere l’altro senza oggettivarlo) sono, per Sartre, impossibili.

PSICANALISI ESISTENZIALE E DIO

Sartre chiama “psicoanalisi esistenziale” il tentativo di giungere alla scelta originaria che fonda la libertà umana. È d’accordo con Freud: ogni gesto, ogni parola, ha un significato, ma Freud è rimasto ancorato all’impostazione deterministica che imprigiona l’uomo nel suo passato, privandolo della capacità di scelta.

L’uomo ha un desiderio di essere, di oggettivarsi – l’essere-in-sé – dato che l’essere-per-sé (la coscienza) è il nulla.

L’uomo aspira ad un’ideale: Dio.

«Si può dire così che ciò che rende meglio concepibile il progetto fondamentale della realtà umana è che l’uomo è l’essere che progetta di essere Dio».

L’uomo tende alla totalità, alla conciliazione: l’uomo nella sua progettualità vuole essere Dio, ma Dio è altro dall’uomo. È un paradosso: l’uomo è un Dio mancato. Ogni azione per raggiungerlo, è inutile.

ANGOSCIA E L’ASSURDITÀ

L’uomo è un Dio mancato, angosciato, angoscioso e infelice. La libertà è l’esperienza dell’esistenza di quel nulla che è il futuro, una serie di azioni possibili e che quindi ancora non sono.

L’uomo di Sartre vive in un mondo indeterminato e vuole ancorarsi alla presenza dell’essere; ogni uomo è assenza, perché non si adatta mai completamente a quello che è – e aspira a superarsi.

Ogni atto umano fondato sulla libertà non è basato sull’oggettività: le azioni perdono senso perché ogni volta che l’uomo sperimenta la libertà si scopre nulla. Rimane solo il desiderio, la mancanza.

«Tutte le attività umane sono equivalenti […], tutte sono votate per principio allo scacco. È la stessa cosa, in fondo, ubriacarsi in solitudine o condurre i popoli. Se una di queste attività è superiore all’altra, non è a causa del suo scopo reale ma a causa della coscienza che possiede del suo scopo ideale; e in questo caso il quietismo dell’ubriaco solitario è superiore alla vana agitazione del conduttore di popoli».

«L’uomo» per Sartre «è una passione inutile». 

IL MARXISMO

Il marxismo per Sartre è la principale teoria dell’azione rivoluzionaria, ma con un errore di fondo: essa è materialistica e deterministica, settaria e anti-soggettiva.

«Il marxismo è l’insuperabile filosofia del nostro tempo», unico pensiero che, per lui, può fornire gli strumenti concettuali per trasformare la società. Il marxismo di stampo francese, però, si è irrigidito unicamente sul piano teorico, risultando un insieme dogmatico di indottrinamento, escludendo la pratica politica. Un partito che è sempre più deterministico, sempre più legato al binomio struttura-sovrastruttura, senza più la capacità esplorativa dei fenomeni storico-socio-culturali.

È evidente l’importanza che Sartre attribuisce alla psicoanalisi e alle scienze umane, la centralità di ricostruire il rapporto tra l’uomo e la sua situazione culturale, nella complessità di tutte le sue sfaccettature.

Sartre ritiene necessario integrare il marxismo con l’antropologia esistenzialista, capace di elaborare una teoria del soggetto della e nella storia, contro tutte le forme di meccanicismo. Il problema centrale è quindi il ruolo della storia.

Hegel e Marx hanno messo in evidenza che la forza della storia siano i conflitti e che la dialettica è il principio del movimento storico, intesa come una legge di natura che non considera l’uomo.

Il fondamento dell’azione umana è il bisogno, che costringe l’uomo a relazionarsi col mondo del lavoro – il mondo oggettivo – imponendo a sé stesso di farsi oggetto. Alienazione, mercificazione, proletariato sono le parole d’ordine. È la penuria che rende il rapporto umano con l’alterità intersoggettivo: gli uomini formano una “pluralità di solitudini”, un semplice aggregato senza reciprocità ma ad alta conflittualità potenziale.

È il mondo che si svolge nell’attesa del pullman, durante le mansioni alienanti, in catena di montaggio, di fronte l’obliteratrice… è il mondo in serie, in cui ognuno ha scopi e mansioni imposte dall’esterno, dove ogni uomo è intercambiabile con ogni altro uomo. Indifferenziati.

La reazione è il gruppo, l’integrazione reale tra gli individui, che si scoprono capaci di agire in libertà come membri di un insieme organico, in cui nessuno comanda e nessuno obbedisce, dove tutti sono guidati da una volontà di lotta contro nemici condivisi. È il gruppo che si costituisce nelle fasi iniziali dei movimenti rivoluzionari. Ma, quando diminuisce la pressione del pericolo, gli scopi e la necessità di una forza comune spariscono.

Quindi il gruppo, per sopravvivere, pone sé stesso come fine: nascono, in seno al gruppo, l’organizzazione e le istituzioni, e dunque il gruppo ricade nella serialità e nella gerarchizzazione.

La violenza contro l’esterno viene allora trasferita dentro il gruppo che, una volta organizzato, vede negli individui liberi un pericolo per la l’unità e si trasforma in un’istituzione. L’individuo è ancora una volta subordinato, asservito, schiavo, alienato.  

È questo lo scacco nel quale si concludono i movimenti rivoluzionari e che appare a Sartre l’esempio fallimentare nell’esperienza sovietica.

Sartre accetta a modo suo la concezione materialistica di Marx, ma rifiuta radicalmente il materialismo dialettico di Engels, che ridurrebbe l’uomo ad un semplice strumento passivo della dialettica, incapace di sottrarsi al più rigido determinismo.

PERCHÉ, OGGI, SARTRE?

Ma perché oggi, in un mondo così diverso da quello in cui visse Sartre, dovremmo ancora interessarci alle sue idee?

Perché Sartre sosteneva la responsabilità individuale: «l’uomo è condannato a essere libero», non esiste un destino prestabilito, è l’uomo a costruire la propria esistenza secondo le proprie scelte. Davanti a crisi globali, incertezze economiche e nuove sfide etiche, il sue pensiero invita a riflettere sulla responsabilità tipicamente umana nell’agire e nel dare un significato alla vita.

In ogni riga dei suoi scritti traspare l’importanza di vivere in modo autentico essendo fedeli a sé stessi. In un’epoca come quella attuale, caratterizzata dalla presenza pervasiva dei social media e dalla costruzione di identità virtuali, il valore dell’autenticità è cruciale.

Sartre non è stato solo un filosofo, ma era anche un intellettuale impegnato nella società, il ché ci ricorda di assumere posizioni chiare e di promuovere la giustizia. In un mondo segnato quotidianamente da disuguaglianze e sfide ambientali, il suo esempio ci ricorda l’importanza di un impegno costante per costruire un futuro migliore.

Sartre ci racconta anche l’angoscia e lo smarrimento – tipico della società parigina del ‘900 ma anche della nostra società – e ci regala una prospettiva che, pur riconoscendo l’assenza di un senso oggettivo, ci sprona a creare il nostro significato attraverso le nostre azioni e scelte.

Leggere Sartre oggi vuol dire abbracciare un patrimonio di idee che continuano a risuonare in modo attuale. I suoi insegnamenti sulla libertà, sulla responsabilità e sull’autenticità sono una mappa che guida attraverso le sfide e le complessità del presente, offrendo strumenti per vivere pienamente e lasciare il nostro contributo al mondo.

Elisabetta Carbone

Leggi anche: D’amore e di disillusioni – tra la vita e La nausea di Jean-Paul Sartre

Elisabetta Carbone

Sono Elisabetta Carbone, classe ’93, milanese di nascita ma cittadina del mondo. Mi sono diplomata al conservatorio per scoprire che volevo laurearmi in storia. Mi sono laureata in storia per scoprire che volevo laurearmi in psicologia. Dopodiché ho scoperto la sessuologia, ma questa è tutta un’altra storia. Non faccio un passo senza Teo al mio fianco, la mia anima gemella a 4 zampe. Docente, ambientalista, riciclatrice seriale, vegetariana.
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