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Il prezzo della felicità. Quanto costa essere felici?

Il benessere materiale sembra essere l’unità di misura del successo e della felicità.

Le pubblicità e i social ci bombardano costantemente con l’idea che acquistare prodotti di lusso, avere l’ultimo modello di smartphone o indossare abiti griffati possa renderci più felici.

Ma è davvero così? Il consumismo, con il suo incessante invito al possesso, ci rende veramente più soddisfatti?

La società dei consumi – ossia la società in cui siamo nati e in cui siamo da sempre immersi – si basa su un presupposto fondamentale: il possesso di beni materiali migliora la qualità della vita e, di conseguenza, ci rende felici. Tuttavia, numerosi studi hanno dimostrato che la soddisfazione derivante dall’acquisto di beni materiali è spesso effimera e di breve durata. Dopo un iniziale entusiasmo, l’effetto positivo e galvanizzante svanisce rapidamente, lasciando spazio ad un nuovo desiderio di acquisto, in un ciclo senza fine. Entriamo così nel vortice del consumo

Uno dei motivi principali di questa illusione è che i beni materiali sono spesso associati a status sociale e accettazione. Possedere un oggetto di un brand famoso o un’auto costosa può dare un senso di appartenenza e riconoscimento, ma questa soddisfazione è temporanea. Nel tempo, il desiderio di confermare e mantenere tale status porta a nuovi acquisti, creando una continua rincorsa alla felicità attraverso il consumo.

Anche il marketing è abile nel creare bisogni artificiali, inducendo i consumatori a credere che un determinato prodotto possa risolvere problemi esistenziali o migliorare la qualità della vita. Questa strategia esageratamente manipolatoria contribuisce a generare un senso di insoddisfazione costante, poiché i desideri indotti raramente portano a una gratificazione autentica e duratura.

Uno dei fenomeni che ci aiutano a comprendere questa dinamica è il cosiddetto “adattamento edonico”, un meccanismo psicologico del tutto inconsapevole e inevitabile, per cui ci abituiamo velocissimamente alle nuove condizioni e torniamo al nostro livello base di felicità. Ad esempio, comprare l’ultimo modello di smartphone può generare eccitazione e soddisfazione, ma col tempo diventa parte della nostra routine quotidiana e il desiderio di qualcosa di ancora più nuovo e avanzato prende il sopravvento.

L’adattamento edonico non vale solo per i beni materiali, ma anche per i cambiamenti di vita significativi, come ottenere una promozione, trasferirsi in una casa più grande o iniziare una nuova relazione. Ma, dopo un periodo iniziale (e breve) di entusiasmo, l’euforia si attenua e si trasforma in noia, costringendoci a cercare nuovi stimoli per mantenere alto il nostro livello di felicità.

Un altro aspetto critico è il confronto sociale. In particolare, i social media e il confronto online amplificano il fenomeno, mostrando stili di vita apparentemente perfetti che spingono le persone a desiderare di più, a volere di più, spesso senza un reale bisogno. Il paragone con gli altri può generare insoddisfazione e ansia, alimentando una ricerca compulsiva di beni e oggetti simbolo di status.

Se quindi il consumismo non è la risposta, cosa ci rende davvero felici? Forse le cose più semplici, genuine e “umane”. Esperienze significative, relazioni sociali positive e uno scopo nella vita sono molto più importanti per definire il benessere personale rispetto al possesso di beni materiali. 

Anche l’autorealizzazione e il perseguimento di uno scopo nella vita giocano un ruolo cruciale. Sentirsi utili e avere obiettivi chiari, sia attraverso il lavoro che tramite passioni personali o attività di volontariato, porta a una gratificazione più duratura rispetto al semplice accumulo di cose. La connessione con la natura e la pratica della mindfulness possono contribuire a un senso di benessere profondo. Trascorrere tempo all’aria aperta, meditare e coltivare la consapevolezza del momento presente aiutano a ridurre l’ansia e a migliorare la qualità della vita.

Investire in esperienze, come viaggi, momenti in famiglia e con gli amici, attività creative, ricreative o di volontariato, andare al cinema, leggere un libro o passeggiare con il cane al parco generano una soddisfazione più lunga e autentica. L’importante è trovare un equilibrio tra desideri materiali e aspetti più profondi del benessere umano.

Quindi la società del consumo promette felicità, ma ci lascia con un senso di vuoto e insoddisfazione. La vera soddisfazione non deriva dall’accumulo seriale e compulsivo di beni materiali, ma dalla capacità di vivere esperienze autentiche e costruire relazioni significative. Riconoscere questa realtà ci permette di liberarci dalla trappola del consumo compulsivo e di concentrarci su ciò che realmente conta per il nostro benessere: il come, non il cosa

Elisabetta Carbone
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Elisabetta Carbone

Sono Elisabetta Carbone, classe ’93, milanese di nascita ma cittadina del mondo. Mi sono diplomata al conservatorio per scoprire che volevo laurearmi in storia. Mi sono laureata in storia per scoprire che volevo laurearmi in psicologia. Dopodiché ho scoperto la sessuologia, ma questa è tutta un’altra storia. Non faccio un passo senza Teo al mio fianco, la mia anima gemella a 4 zampe. Docente, ambientalista, riciclatrice seriale, vegetariana.
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