Prison Inside Me: la fuga dallo stress della Corea del Sud

La Corea del Sud sta diventando sempre più famosa per le band k-pop, il cibo, i drama televisivi, i prodotti per la cura della pelle, apparendo al mondo occidentale quasi come un parco divertimenti.
Ma c’è una faccia della medaglia che non sempre si prende in considerazione, dove la cultura coreana schiaccia i coreani stessi in un vortice di stress, ansia e non solo.
La Corea del Sud è un Paese caratterizzato da un’intensa competitività che inizia già a scuola e nelle università, rendendo molto difficile accedere a un’università prestigiosa. La competizione del sistema educativo coreano causa un enorme stress e pressione sugli studenti, tanto che alcuni lo considerano abuso minorile, e secondo un sondaggio, metà degli adolescenti hanno pensieri suicidi.
Tramite vari studi si è constatato che tra le cose maggiormente criticate nel sistema scolastico del Paese è la quasi assenza dell’educazione fisica nelle scuole: oltre l’80% di esse vietano agli studenti di medie e superiori di avere rapporti interpersonali, avendo così il tasso di infelicità maggiore del mondo secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).
Il tempo passato a studiare varia tra le 10 e le 16 ore al giorno, l’esame dell’ultimo anno dura 9 ore ed è estremamente difficile, e i ragazzi sono privi di spirito di comunità a causa dell’eccessiva competitività forzata su di loro, mancanza di diritti, sovraccarichi per esami e compiti.
Anche i lavoratori sono pesantemente colpiti da questo senso di competitività ed orari di lavoro disumani, che hanno fatto diffondere in Corea del Sud il termine giapponese Karoshi, letteralmente “morte da superlavoro”, che si riferisce a una morte improvvisa legata all’impiego lavorativo.
I lavoratori sudcoreani lavorano, in base ai dati dell’agenzia di stampa Yonhap, circa 2.700 ore all’anno, mille ore in più rispetto ai dipendenti di qualsiasi altro paese considerato avanzato.
Per cercare di far fronte allo stress quotidiano e ritrovare un equilibrio mentale, è stata trovata una soluzione insolita a Hongcheon, a poche ore da Seoul: si tratta di un ritiro che simula la vita in prigione, dove i partecipanti si sottopongono volontariamente a isolamento e privazioni per ritrovare la pace interiore, chiamato Prison Inside Me.
L’idea è nata dall’avvocato Kwon Jong-suk e dal suo desiderio di rifugiarsi in una cella per staccare dagli anni di lavoro estenuante. Da questo pensiero è nato un luogo dove chiunque può sperimentare una specie di reclusione volontaria.
Il soggiorno standard della Prison Inside Me dura tra le 24 e le 48 ore dal costo di 80 euro al giorno; chi decide di rifugiarsi qui, verrà rinchiuso in una cella di 5 metri quadrati, senza alcun comfort. Il letto è un materasso sottile sul pavimento, il cibo è una zuppa di riso al mattino, patate dolci al vapore e una bevanda a base di banana per cena. Niente cellulari, computer, libri e qualsiasi tipo di distrazione, sono concessi sono una penna, un taccuino e un set da tè. Regola fondamentale: il silenzio, difatti, non è possibile parlare con gli altri ospiti.
La Corea del Sud ha uno dei tassi di suicidio più alti al mondo e molte persone vedono questa “prigione” come un rifugio temporaneo per ristabilire un equilibrio interiore. La cofondatrice Noh Ji-Hyang ha dichiarato che molte persone arrivano incerte su cosa aspettarsi, ma dopo l’esperienza affermano che il vero carcere non è la cella in cui si trovano ma la vita quotidiana da cui provengono.
Irene Ippolito
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